Scie stellari: consigli pratici per iniziare

Pubblicato da C.A.Hung il

Star TrailsFotografare le stelle ha senza dubbio un fascino speciale. Esistono principalmente due tipi di fotografia delle stelle (oltre all’astrofotografia che ha come soggetto esclusivamente le stelle): quella che è volta a catturare un’istantanea del cielo, mostrando dettagli dell’universo insieme a un paesaggio naturale o di città e le scie stellari o “star trails” (il termine inglese è più utile per reperire altri tutorial e altro materiale utile in varie lingue), cioè fotografie a lunghissima esposizione che provano a raccontare non un singolo istante ma la storia delle stelle e di un paesaggio in un periodo di tempo che può superare anche mezzora.

Il primo genere richiede una fotocamera capace di catturare una scena notturna con una buona gestione della sensibilità e del rumore e un luogo quasi completamente privo di inquinamento luminoso. Di conseguenza, se avete una compattina o uno smartphone o vivete in una città potete abbandonare l’idea di praticare questo genere.

Paradossalmente può essere più “semplice” fare delle foto di star trails in quanto l’inquinamento luminoso incide sulla quantità di stelle visibili, tuttavia ne bastano meno rispetto al primo genere per ottenere foto d’effetto, dato che il cielo sarà comunque riempito da delle scie che racconteranno la vostra storia. Per poter fare una foto del genere servono:

  • Fotocamera capace di fare scatti continui con esposizioni di almeno 20-30 secondi
  • Cavalletto abbastanza stabile per tenere ferma la fotocamera durante gli scatti
  • Cavo o telecomado per lo scatto a distanza
  • Un posto dove ci sia un discreto paesaggio o soggetto e una porzione di cielo non troppo inquinata a livello luminoso

Iniziamo con qualche dettaglio in più sull’inquinamento luminoso: anche se la notte vista dalla vostra finestra vi può sembrare molto buia, se non riuscite a vedere le stelle è spesso a causa delle condizioni atmosferiche e della quantità di luce prodotta intorno al luogo dove vi trovate. Infatti la luce viaggia per molto più di quanto possiate immaginare. Un piccolo lampioncino di strada può emanare raggi che raggiungono altezze cosiderevoli, rimbalzando tra le varie particelle d’acqua sospese nell’aria e creando quell’effetto nebulosa che vedete quando osservate una città illuminata da lontano, specialmente in notti umide e calde. Anche la Luna è un nemico in questo caso, in quanto molto luminosa. Di conseguenza per poter fare uno scatto delle stelle in movimento non è sufficiente scegliere un giorno qualunque ma bisogna fare attenzione a scegliere un giorno e un ora in cui la luna sia bassa e possibilmente poco visibile, l’aria sia quanto più secca possibile e non vi siano nuvole. Infine è ovviamente necessario trovare un posto dove riusciate a vedere le stelle a occhio nudo. Se non riuscite a vedere molte stelle a occhio nudo allora non riuscirete a fare una foto decente. Un buon riferimento può essere la facilità con cui distinguete il grande carro (che vi servirà anche per orientare lo scatto). Se lo si distingue con facilità e si contano subito una ventina di stelle attorno a lui allora la condinzione dovrebbe essere abbastanza buona.

Una volta trovate le condizioni atmosferiche e il luogo, bisogna decidere come comporre lo scatto. Per fare ciò è sufficiente conoscere i fondamenti di come funzionano le stelle… in sostanza bisogna trovare la stella polare e comporre più o meno in quella direzione. Polaris è importante perché rappresenta il nord e quindi è un punto di riferimento che si può immaginare come il centro dei cerchi che verranno disegnati dal movimento delle stelle. Più precisamente, li nostro pianeta gira attorno a un asse al cui culmine si trova (orientativamente) la stella polare. Di conseguenza, se provate a immaginae di mettere tante stelle attorno a Polaris e di osservarle da un punto preciso della terra, ci si può rendere conto che sarà la fotocamera a muoversi rispetto alle stelle (rimanendo ferma rispetto a polaris e al paesaggio), disegnando un cerchio. Detto ciò, è quindi necessario identificare il nord e puntare nella direzione che produrrà la scia che si desidera. Chiaramente più si pone Polaris al centro dello scatto, più le scie risulteranno di forma circolare. A questo punto è possibile cercare di immaginare quale sarà il “disegno” fatto dalle stelle e comporre quindi il proprio scatto con dei quarti di cerchio, delle linee quasi rette o dei cerchi.

Quando la composizione sarà quella desiderata, sarà giunto il momento di provare le varie impostazioni e di bloccare il cavalletto in modo che non si sposti neppure di un millimetro. Considerando infatti che sarà necessario fare molte esposizioni o un’esposizione molto lunga, anche pochissimo spostamento rischia di compromettere lo scatto. Nell’esempio presente in questo mini-tutorial, è infatti possibile vedere che a un certo punto le linee si spezzano per spostarsi di qualche millimetro. Questo è dovuto al fatto che a un certo punto della realizzazione ho dovuto modificare un’impostazione e il solo “click”, per quanto attento, di una rotellina, ha spostato millimetricamente la fotocamera creando quindi il disallineamento. Supponendo di essere in un posto buio come una caverna senza uscite e di avere una fotocamera che in modalità “bulb” possa stare a divorare luce ininterrottamente senza che il sensore si scaldi troppo e che il rumore inizi a rovinarvi lo scatto, potreste fare fare un unico scatto lunghissimo… sperando ovviamente di azzeccare le impostazioni per cui le zone più luminose non vengano bruciate. Una validissima alternativa è quella di utilizzare la tecnica dello “stacking”, (letteralmente impilare) cioè quello che una volta si chiamava “esposizione multipla”.

Lo stacking è una tecnica che consiste nel fare più scatti che si sovrappongono tra loro. Per rispondere subito a quelli che a questo punto dell’articolo cominciano con la solita lagna del “ah, ma allora non vale… è fotoscioppata… una volta non si faceva…”, sottolineo subito che l’esposizione multipla si faceva anche con la pellicola e che quindi la tecnica dello stacking è più vecchia del digitale ed era ampiamente utilizzata proprio per far fronte a situazioni che invece oggi con il digitale non sono più un problema. Per effettuare lo stacking si possono utilizzare vari software che fanno tutto in maniera praticamente automatica. Uno dei migliori programmi gratuiti è StarStaX. Ovviamente non mancano le opzioni per i software a pagamento. Per esempio in Photoshop è possibile utilizzare funzioni apposite di stacking oppure andare semplicemente (a seconda della versione) a cercare sul menu “file”, sotto gli scripts, la modalità “statistica” che sostanzialmente si occupa proprio di fare questo genere di cose. Il metodo di fusione statistica è un metodo puramente matematico che non fa altro che trattare le immagini come matrici e “fondere” le immagini pixel per pixel usando una formula basilare, per esempio la media, il minimo, il massimo, etc. Il metodo statistico è uno dei più usati da quasi tutti i software specializzati nella multi-esposizione. Nel caso delle star trails, il modello matematico che ci interessa è il “massimo”, cioè per ciascun pixel di ciascuna foto, l’algoritmo sceglierà il più luminoso. Questo farà sì che il soggetto principale (il paesaggio) rimanga invariato perché dovrebbe essere identico in tutte le foto, mentre nel cielo, che è composto fondamentalmente da un fondo nero (il cielo) e delle piccole scie bianche (le stelle) si componga di una somma di tutte le scie presenti in ciascuna foto. Infatti, in questa tecnica, ogni scatto è di fatto una foto di star trails, solo che avrà solo pochi secondi di scia che poi uniti a quelli di tutte le altre foto andranno a comporre la scia completa. La stessa tecnica si applicava alla pellicola usando un filtro a densità neutrale graduato per fare in modo che l’esposizione della zona luminosa (il paesaggio) fosse ridotta al minimo e potesse quindi essere sommata, e facendo l’impilamento direttamente sulla pellicola, cioè usando la multi-esposizione (scattando più volte senza far scorrere la pellicola). Chiaramente in analogico era più facile fare una singola esposizione, tuttavia l’uso della multi-esposizione facilitava il calcolo dei tempi precisi per esporre correttamente tutte le parti dello scatto.

Dal punto di vista dell’attrezzatura, la cosa positiva è che qualunque reflex o fotocamera di buona qualità che abbia la modalità di scatto continuo a distanza (con cavo o telecomando) va bene. Anche dal punto di vista dell’obiettivo, anche se non si dispone del più costoso e aperto obiettivo, è possibile fare degli ottimi scatti. L’esempio dell’articolo è stato scattato con apertura f/9, a dimostrazione che non servono obiettivi con aperture fisse di 2.8 o maggiori. A livello di lunghezza focale, più si sta larghi sull’angolo, maggiore sarà l’effetto di curvatura delle scie visibile nella composizione, qundi si suggerisce un obiettivo grandangolare. La buona notizia è che, tutto sommato, una reflex entry level con il “plasticozzo” cioè il classico 18-55 è più che sufficiente per fare uno scatto del genere. Una cosa fondamentale è il cavo con blocco dello scatto: non vorrete mica stare un’ora con il dito sul pulsante di scatto, no? A questo punto, si deve mettere a fuoco il soggetto e bloccare la messa a fuoco spostando l’obiettivo sulla modalità manuale, impostare il tempo di esposizione sui 30 secondi, e fare uno scatto di prova. Di norma l’apertura dovrebbe essere la massima possibile e la sensibilità ISO la più basse possibili. Purtroppo non sempre questo è possibile perché a seconda della capacità del sensore si rischia di far sparire troppe stelle usando una sensibilità troppo bassa e un’apertura ampia aumenta il rischio di “flaring” e “ghosting” cioè dei riflessi interni all’obiettivo che possono essere causati da fonti di luce dirette (anche piccole e distanti). Di conseguenza sarà necessario, prima di iniziare gli scatti, fare qualche prova di singoli scatti e scegliere la giusta ISO e la giusta apertura del diaframma. Bisogna analizzare gli scatti di prova attentamente (pena perdere da 30 a 60 minuti in scatti che poi dovrete buttare) per verificare che i livelli di rumore non siano eccessivi, che le scie delle stelle siano visibili e che non ci siano eccessivi riflessi. A questo punto si può iniziare con gli scatti.

Una volta collezionati gli scatti, sarà comunque necessario svilupparli prima di poterli impilare. Qui risulta evidente la potenza di programmi come Adobe Lightroom ma in generale di tutti quei programmi che permettono di sviluppare e catalogare immagini raw. Vi troverete infatti con un numero di immagini che potrà variare dalle 60 alle 120 a molte di più, a seconda del tempo che avrete impiegato. Per fortuna, essendo tutti scatti “uguali” sarà sufficiente sviluppare una singola foto e poi sincronizzare le impostazioni con tutte le altre foto. Ovviamente è importantissimo scattere in raw in modo da poter aumentare la chiarezza (clarity) per far risaltare le scie delle stelle e per poter ridurre il rumore usando il fattore di luminanza.

Quando sarà terminato lo sviluppo e avrete esportato tutte le immagini, allora potrete impilarle e godervi il risultato. Infine, ecco le impostazioni usate per il mio primo “star trails”, che non sarà sicuramente il migliore in circolazione ma può dare un’idea di cosa aspettarsi da un “primo tentativo”:

  • Orientamento: Nord-Nord-Est
  • Luna: Gibbosa calante
  • Data e ora: 15 Agosto 2014 – dalle 23.05 alle 23.35
  • 55 scatti
  • 30 secondi di esposizione per scatto
  • Apertura: f/9
  • ISO: 400
  • Fotocamera: Nikon D7100
  • Obiettivo: Tamron 24-70 f/2.8
  • Lunghezza focale 24mm (equivalente a 36mm su FF)

Ultimi suggerimenti che possono essere utili: dotarsi di coperta e torcia… io ero in un lido balneare illuminato ed era agosto in Sicilia… ma alcune tra le notti migliori sono in inverno e in montagna… 🙂


1 commento

Il segreto per andare a caccia di stelle | Carlo Alberto Hung · 27/08/2016 alle 10:56

[…] Che attrezzatura usare? Diciamo che dipende da quanto ci si trova al buio. Se si riesce a vedere la via lattea ad occhio nudo, cosa che raccomando dato che si tratta di un’esperienza veramente unica, allora qualsiasi reflex riuscirà a tirare fuori qualcosa anche con un obiettivo kit (il classico 18-55). In generale la regola è che più luce si può catturare e meglio è, quindi largo a obiettivi dall’apertura del diaframma enorme (1.4, 1.8 o 2.8) e ai sensori capaci di alzare la sensibilità ISO senza produrre troppo rumore e perdere troppa gamma dinamica. Ovviamente quindi meglio una full frame o ancora meglio (se si è ricchi) una medio formato. Sul tipo di obiettivo, più si accorcia la lunghezza focale e meglio sarà per due motivi: il primo è che si potrà includere nella foto una componente maggiore della via lattea, la quale è veramente enorme e quindi si faticherà a catturarne una porzione significativa, in secondo luogo perché un angolo di campo maggiore permette di avere tempi di esposizioni maggiori prima che si noti il movimento relativo delle stelle. Quest’ultimo caso non conta se si vogliono fare le scie di luce. […]

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