Photokina e riflessioni sul business della fotografia
In questi giorni si sta svolgendo una delle fiere mondiali della fotografia più celebri e riconosciute: Photokina. In occasione di questa fiera tutte le maggiori aziende legate al mondo della fotografia presentano nuovi prodotti o addirittura dei cambi strategici nel loro business. Per i “gear addicted” come me questi eventi sono un po’ come il giorno del rilascio dell’iPhone per i fanatici di Apple. Durante questa manifestazione vengono mostrati dei dispositivi che fanno riflettere sempre di più su quello che sarà il futuro della fotografia sotto molti punti di vista. Personalmente ho tratto diversi punti di riflessione da alcuni dettagli.
La morte delle fotocamere compatte: l’attenzione si è volta verso tantissime cose, meno che verso le compatte. Le statistiche di vendita di queste fotocamere è veramente calata tantissimo e ormai molti dei punti che erano a favore di questi dispositivi nei confronti degli smartphone stanno sparendo, per esempio le doppie fotocamere che ovviano al problema dello zoom ottico, la qualità crescente dei dispositivi mobili e le esigenze dei consumer che cambiano. Diciamoci la verità: investire in un area dove il fatturato ha fatto una colata a picco in meno di 5 anni sarebbe un azzardo per chiunque. In effetti quelle che erano le esigenze di chi acquistava una fotocamera compatta ormai sono ampiamente coperte dagli smartphone e se una “compatta” ha una qualità superiore allora quasi sicuramente costa quanto sistemi più avanzati che ne divorano gli ultimi spazi di mercato. Cosa potrebbero inventarsi le case fotografiche per ravvivare questo mercato? Onestamente trovo pochi punti ma sicuramente hanno da imparare da quello che hanno fatto gli smartphone per i consumatori, cioè andare dietro alle loro esigenze: connessione, rapidità, elaborazione di alto livello con pochi click e magari sistemi avanzati multilente per simulare la qualità e gli effetti delle fotocamere professionali.
Un’altra riflessione che ho fatto riguarda sempre gli investimenti ed è relativa al fatto che, nonostante in tanti continuino a ripetere che il business della fotografia sia stato ucciso dagli smartphone, la realtà è che il settore di mercato è in crescita (o in ripresa) e gli investimenti di grandissime case come Leica, Fujifilm, Hasselblad e via dicendo lo dimostrano ampiamente. Magari i numeri totali di statistiche come quelle del CIPA possono dire il contrario ma quei numeri non sono tutto. Proprio durante Photokina 2016 sono state presentate ufficialmente delle fotocamere mirrorless di medio formato, cioè qualcosa di più grande (e teoricamente di qualità superiore) delle reflex full-frame che equivalgono alla vecchia pellicola. I big del settore stanno investendo tantissimo su quello che è il nuovo mercato dei consumatori, fatto non più solo di professionisti che spendono tanto e amatori che spendono poco, ma di tante sfumature intermedie che vanno da chi come me si porta fino a un livello di qualità e conoscenza da professionista a chi, senza problemi economici di sorta, acquista fotocamere da 5000 euro come qualsiasi altro “capriccio” con cui divertirsi. Mi aspetto che tra pochi anni, le persone che come me acquistano una reflex full-frame acquisteranno delle medio formato “prosumer” e quelle che oggi sono le semi-professionali o professionali acquistate dagli amatori come me saranno quotidianamente nella borsa di tutti gli amanti della fotografia che non si spingono oltre le conoscenze di base.
Proprio in relazione al business fotografico, una riflessione che ho fatto guardando tutte le notizie legate all’evento in oggetto, è stato il modo in cui è cambiato l’approccio alla fotografia rispetto anche a pochi anni fa e coma essa è diventata per quasi tutti ormai: quotidiano. Una volta la fotografia era qualcosa di particolare che pochi potevano permettersi di conoscere e praticare. Oggi è il quotidiano di tutti. Molti pensano che questo l’abbia resa meno importante e scontata, ma la realtà è che, a mio avviso, sia accaduto l’esatto opposto. Instagram, Facebook, Snapchat e simili e tutte queste applicazioni hanno reso il significato di fotografia qualcosa che è ormai parte integrante della nostra vita, anche in cose in cui prima non ce lo saremmo mai sognato. Ormai si fa una fotografia alla lavagna alla fine di una riunione, si fotografa l’etichetta del mobile ikea da cercare in magazzino, le babysitter mandano foto ai genitori per far vedere che i bimbi stanno bene, si fanno foto per dimostrare un legame tra due persone e si fotografano i paesaggi. La fotografia ha soppiantato molte altre forme di comunicazione usate fino a oggi e lo ha fatto in pochissimo tempo. La fotografia è diventata una forma di comunicazione sempre più diffusa e importante e questo ha innalzato tantissimo la competenza istintiva delle persone e reso quindi il pubblico specializzato anche più esigente. Questo ha forse ucciso la professione e il mercato della fotografia? No, anzi ne ha innalzato il business a qualcosa che viene trattato coi guanti e che è considerato sempre una miniera d’oro (anche se molto rischiosa). A chi non mi crede porto alcuni punti di riflessione al riguardo: le statistiche di vendita di sistemi di fotocamere semi professionali e professionali sono aumentate a dismisura negli ultimi anni, soprattutto da quando esistono Instagram e Snapchat. Ormai è veramente difficile che non ci sia almeno una mirrorless o una reflex entry level in ogni casa e questo perché lo smartphone ce l’hanno tutti, quindi l’idea di fare delle foto “migliori” anche solo per andare in vacanza passa da strumenti che devono avere qualità superiore a quella degli smartphone. Inoltre l’enorme diffusione della fotografia e il continuo bombardamento di messaggi visivi in ogni mezzo di comunicazione ha fatto sì che la conoscenza di base delle regole fotografiche si siano affiancate alle competenze nell’uso degli smartphone o dei computer. Sia chiaro, non sono diventati tutti fotografi, ma in moltissimi lo sono un po’ di più rispetto a prima. Riguardo alla professione, oltre ad averne parlato anche in passato, questa enorme diffusione ha effetivamente l’effetto di ridurne il valore, tuttavia si creano anche mille altri strumenti e strategie per aumentarlo allo stesso tempo. Siamo, secondo me, in un momento di transizione verso il riconoscimento della vera qualità anche da parte dei profani. Un altro punto di riflessione relativo ai professionisti e alle esigenze che crescono si può trovare nell’impiego di nuove tecnologie: qualche anno fa sarebbe stato impensabile vedere un servizio di matrimonio di una coppia “comune” fatto con riprese aeree di un drone e con effetti stratosferici realizzati con action cameras di ogni genere.
Una delle cose considerate da molti come “prova” simbolo a supporto dell’abbassamento del valore della fotografia è il microstock. Tuttavia proprio di recente in Italia è accaduto qualcosa che ha fatto scalpore e senza che nessuno ci abbia fatto troppo caso è stato dimostrato come il valore della fotografia in sé non sia cambiato radicalmente ma si sia adattato alle situazioni. Faccio riferimento all’opuscolo del #FertilityDay. La polemica più grossa è stata riguardo all’apparente messaggio razzista di cui è stata accusata la Lorenzin (o meglio gli addetti al design dell’opuscolo che ha delegato), tuttavia ne è anche uscita una molto interessante per chi bazzica nel business della fotografia: le foto usate erano già state usate in altri contesti, cioè una campagna antidroga in america e uno studio dentistico. L’indignazione di fronte a questa cosa dimostra come sia diventato ancora più importante che per un messaggio di livello nazionale si impieghi del materiale originale e che si coinvolgano delle persone competenti nella comunicazione attraverso le immagini, pena l’apparire di cattivo gusto e promotori di una campagna dello stesso valore delle foto, cioè pochi centesimi su Getty Images. Il sottotitolo a quest’ultima frase è: cari comunicatori che volete dire qualcosa al mondo, il vostro messaggio varrà tanto quanto avete pagato le foto con cui lo trasmettete.
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