Bokeh: quando uno smartphone non basta
Si avvicina Natale e si cominciano a vedere in giro cartoline fotografiche usate per gli auguri. Ti viene l’idea di fare anche tu gli auguri in questo modo, ma vuoi usare una tua foto e non una che si trova già in giro. Prendi un vassoio di biscotti natalizi appena sfornati, lo smartphone o la piccola compatta che tenevi nel cassetto, scatti la foto e… mmm… non è venuta esattamente come quelle che ti hanno ispirato… le guardi attentamente e le confronti per cercare di capire dove sono le differenze. La prima cosa che noti è sicuramente la luce, molto più controllata e naturale nella foto della “cartolina”, ma la seconda cosa che risalta all’occhio sono quei deliziosi pallini di luce morbida sullo sfondo che fanno tanto “luci di festa” e che nella tua foto non ci sono. A questo punto provi a mettere il tuo vassoio di biscotti natalizi davanti all’albero di Natale con le sue lucine e scatti e… mmm… no… ancora nulla… ma come si fa a ottenere quelle belle palline sfocate?
Uno sfondo sfocato e ben controllato fa la differenza tra una foto amatoriale a una dall’aspetto professionale per due semplici ragioni: in primo luogo perché stacca e incornicia il soggetto, esaltandolo e quindi facendo focalizzare l’attenzione sul soggetto e rendendo lo scatto più interessante. L’occhio, infatti, si sofferma principalmente sulle aree più luminose e contrastate dell’immagine, pertanto uno sfondo sfocato e studiato per incorniciare il soggetto, renderà la foto più piacevole. In secondo luogo perché, come spiegato, non è sempre facile ottenere questo tipo di effetto e dunque è socialmente più probabile che si associ un buon bokeh a uno scatto professionale.
Questo è un classico scenario dove cominciano a emergere i limiti tecnici delle fotografie realizzate con strumenti come smartphone o fotocamere compatte. La sfocatura dello sfondo è chiamata bokeh, dal termine giapponese che indica proprio la sfocatura, e al giorno d’oggi è utilizzata nel gergo fotografico per indicare la qualità della sfocatura che riesce a produrre un certo obiettivo.
Dal breve racconto introduttivo è facile intuire che un buon bokeh richiede gli strumenti adatti, non necessariamente super professionali, ma sicuramente non sempre alla portata di tutti. In questo articolo cercherò di spiegare come ottenere il miglior bokeh possibile con gli strumenti che si possiedono, siano essi una reflex o uno smartphone. Ovviamente esistono innumerevoli tecniche di fotoritocco per migliorare o addirittura inventarsi l’effetto bokeh, ma io mi limiterò ad analizzare come lo si ottiene in maniera “naturale”.
Innanzi tutto, per capire come ottenere il miglior bokeh possibile, è necessario parlare di profondità di campo, piano di messa a fuoco e compressione dell’immagine. La profondità di campo è sostanzialmente quella distanza fisica davanti e dietro il piano di messa a fuoco in cui i soggetti ritratti sono a fuoco. Praticamente, considerando che esiste un piano esattamente perpendicolare (semplificando) all’obiettivo detto piano di messa a fuoco, cioè la distanza a cui un soggetto è esattamente a fuoco, si può dire che più ci si allontana da questo piano, maggiore sarà la sfocatura e ovviamente, minore sarà la profondità di campo, più intensa sarà la sfocatura man mano che ci si allontana da tale piano. Questo significa che il primo limite da affrontare sia l’apertura del diaframma. La lente utilizzata dal dispositivo con cui si effettua lo scatto ha un numerello minimo che implica il massimo che si può ottenere da quell’obiettivo. Per capire al meglio l’effetto che l’apertura del diaframma ha sul bokeh, è sufficiente fare una prova di questo tipo:
- Posizionate la macchina fotografica su di un treppiedi
- Mettete sullo sfondo delle luci puntiformi, per esempio quelle di un albero di Natale, e un soggetto davanti all’obiettivo
- Impostate la macchina fotografica in modalità “priorità di apertura”, cioè voi scegliete l’apertura del diaframma, la macchina fotografica sceglierà il resto
- scattate alla massima apertura disponibile (e.g. f/2.8) e poi, senza cambiare le posizioni di soggetto, sfondo e fotocamera, rifate la stessa foto usando un’apertura molto più bassa (e.g. f/7)
Il risultato renderà evidente quanto sia importante l’apertura del diaframma per il bokeh. A questo punto, posto che l’apertura del diaframma stabilisce quanto grande sarà la porzione di spazio davanti a noi a fuoco e quindi quanto intensa sarà la sfocatura dello sfondo, si può passare a studiare la compressione. Infatti, per enfatizzare il bokeh, si può anche cercare di aumentare la distanza tra il soggetto e lo sfondo e usare una lunghezza focale più grande.
Aumentando la distanza tra il soggetto e lo sfondo, si sta in sostanza facendo sì che lo sfondo si trovi in una zona più distante dal piano di messa a fuoco. Data la premessa sul piano di messa a fuoco e la profondità di campo, è facile intuire che maggiore sarà la distanza tra il soggetto e lo sfondo, tanto più sfocati e indefiniti saranno i “pallini”. Questo effetto è massimizzato se ci si avvicina quando più possibile al soggetto. Facendo ciò, infatti, si sposterà il piano di messa a fuoco quanto più vicino possibile all’obiettivo, aumentando l’effetto di compressione con lo sfondo.
L’ultimo passo per ottenere il massimo dal vostro “bokeh” è quello, per l’appunto, di aumentare la lunghezza focale. Usando un teleobiettivo, per esempio, la compressione dell’immagine sarà di gran lunga maggiore rispetto all’uso di un grandangolare. Per intenderci, la compressione è quell’effetto che fa apparire vicini dei soggetti che in realtà sono lontani. Infatti, poiché la foto è una rappresentazione bidimensionale di un contesto tridimensionale, il rapporto delle dimensioni tra i soggetti dipende fondamentalmente dalla lunghezza focale utilizzata. Per spiegare meglio il concetto, farò un esempio estremo: supponiamo di mettere due persone a distanza di dieci metri l’una dall’altra. Se provassimo a fotografare la prima da una distanza di un metro (la seconda sarebbe quindi a undici metri dall’obiettivo), nel risultato finale vedremmo immediatamente la differenza di dimensioni. Questo accade perché, nonostante i due soggetti abbiano le teste di dimensioni più o meno uguali, una si troverà molto vicina all’obiettivo e l’altra no, creando l’effetto di differenza di dimensioni. Ciò è vero anche a occhio nudo, cioè tanto più un oggetto è lontano quanto più piccolo appare. Supponiamo adesso di metterci a mille metri di distanza dai due soggetti. Adesso la distanza tra loro sarebbe quasi insignificante rispetto alla distanza dall’obiettivo. Di conseguenza, se li fotografassimo con un super tele obiettivo in grado di realizzare un primo piano ai due, noteremmo come la differenza di dimensioni della testa risultarebbe quasi nulla. Questo effetto è dovuto proprio a ciò che viene detta compressione. Per riassumere, tanto maggiore è la distanza dell’obiettivo da soggetto e sfondo (a parità di inquadratura del soggetto principale), tanto più “compressa” apparirà la distanza tra il soggetto e lo sfondo. In relazione al bokeh, ciò significa che, tanto maggiore sarà la lunghezza focale, tanto più larghi appariranno i pallini sfocati delle luci nello sfondo.
Come possiamo quindi mettere in relazione le tre cose? In realtà è piuttosto semplice: una volta stabiliti i limiti fisici di soggetto e scena, sarà sufficiente fare quanto segue:
- Porre la maggiore distanza possibile tra il soggetto e lo sfondo, avendo cura di porre delle luci quanto più puntiformi possibili
- Impostare la lente della macchina fotografica alla massima apertura possibile e alla lunghezza focale più alta
- Avvicinarsi quanto più possibile al soggetto
A questo punto sarà necessario fare un po’ di “lavoro di fino”, poiché, in caso di obiettivi con apertura variabile in base alla lunghezza focale, potrebbe essere necessario decidere di rinunciare a un po’ di apertura per allungare un po’ la distanza e viceversa. Inoltre, anche la lunghezza focale e la distanza potrebbero essere vincolate o quanto meno influenzate dalla composizione e dalle distanze con il soggetto.
Per fare un esempio, supponiamo di usare uno smartphone. Tipicamente lo smartphone non avrà uno zoom (quello digitale non conta in questo caso), pertanto non sarà necessario preoccuparsi della parte complessa descritta nel paragrafo precedente. A questo punto, ammesso che lo si possa fare, bisognerà dire allo smartphone di scattare con la modalità ritratto o comunque con l’apertura del diaframma maggiore possibile (numero della f più basso possibile, e.g. f/3.5 = apertura maggiore di f/5.6). Seguendo quindi le indicazioni sulle distanze, ecco che avrete ottenuto il meglio possibile con il mezzo a vostra disposizione.
Nelle foto di esempio in questo articolo, è possibile vedere la differenza tra delle foto scattate con un obiettivo Tamron 24-70 f/2.8 ma con diverse impostazioni. La prima, in alto, è scattata a 70mm con apertura f/2.8. La seconda e la terza, qui in basso, rispettivamente a 50mm f/2.8 e 50mm f/5.6. Per avere un’idea più chiara dei limiti tecnici, anche avendo una reflex, se si usa il classico obiettivo kit, 18-55, la seconda foto è il massimo che si potrebbe ottenere, considerando però che il Tamron impiegato ha la capacità di mettere a fuoco da molto vicino, pertanto il risultato reale sarebbe ancora meno accentuato per via della minore compressione.
Infine, ecco un “bonus tip”: la forma delle luci sfocate e puntiformi dello sfondo è tonda solo perché quella è la forma del diaframma da cui la luce passa. Provate a ritagliare una stella al centro di un foglio di carta e metterlo davanti all’obiettivo, facendo sì che la luce quindi passi solo attraverso quel foro e riprovate a fotografare l’albero di Natale come sfondo… lascio a voi scoprire cosa succederà 🙂
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