Apertura e tempo di esposizione: la base della tecnica

Pubblicato da C.A.Hung il

RubinettoSaper fare delle belle fotografie richiede sicuramente creatività, occhio, intuito e soprattutto qualcosa da raccontare. Ovviamente per quanto queste cose siano fondamentali, è altrettanto importante conoscere almeno le basi fondamentali su cui si basa la tecnica. Quando si parla dell’ABC della fotografia, due parametri che bisogna imparare a capire e usare sono l’apertura e il tempo di esposizione.

Questi due parametri, infatti, determinano se la foto risulterà correttamente esposta, sovraesposta o sottoesposta e se il soggetto e lo sfondo saranno a fuoco, o mossi e sfocati. Essi sono la chiave per la riuscita di una buona foto. Come al solito, citerei le definizioni tecniche che si possono agilmente trovare su Wikipedia:

In fotografia ed in ottica, un diaframma è un’apertura solitamente circolare o poligonale, incorporata nel barilotto dell’obiettivo, che ha il compito di controllare la quantità di luce che raggiunge la pellicola (in una macchina fotografica analogica) o i sensori (in una macchina fotografica digitale) nel tempo in cui l’otturatore resta aperto (tempo di esposizione).

Se invece parliamo di tempo di esposizione:

Il tempo di esposizione, o tempo di scatto o tempo di posa o anche tempo di otturazione e velocità di otturazione è in fotografia, il tempo durante il quale l’otturatore della macchina fotografica rimane aperto per permettere alla luce di raggiungere la pellicola o il sensore (nel caso della macchina digitale).

Da queste definizioni si può intuire che l’apertura indica quanta luce colpisce il sensore e il tempo di esposizione ci dice per quanto. L’esposizione finale della foto è il risultato dei due parametri precedenti, cioè per quanto tempo facciamo entrare una data quantità di luce attraverso l’obiettivo. In questo articolo proveremo a capirli con meno tecnicismi e più esempi pratici.

Quando mi capita di spiegare la dinamica dell’esposizione a persone che non hanno mai sentito parlare di fotografia, mi piace usare un paragone che rende l’idea, a mio avviso, in maniera molto semplice e immediata: il rubinetto che riempie un bicchiere.

Il bicchiere rappresenta l’esposizione che vogliamo ottenere, cioè la quantità totale di luce che il nostro sensore può contenere prima di perdere acqua (ovvero informazione). Il rubinetto da cui esce l’acqua rappresenta fonte della luce che colpisce il sensore e l’acqua, infine, rappresenta la luce. Come è facile provare di fronte a qualunque rubinetto, vi renderete conto che per riempire il bicchiere fino a metà o fino all’orlo, a seconda di quale sia il nostro desiderio, è necessario una precisa quantità di tempo che dipende da quanto più apriamo il rubinetto.

Per completare l’esempio, il “quanto” apriamo il rubinetto è la nostra apertura del diaframma, e il “quanto tempo” è il nostro tempo di scatto. Da questo esempio è chiaro che quello che fa un fotografo è fondamentalmente scegliere un bicchiere (sensore, per esempio quello montato dentro una reflex crop o una full-frame), scegliere quanto vuole riempirlo (per esempio fare un ritratto in chiave alta, cioè con forti luci che avvolgono il soggetto), e osservare l’acqua che riempie il bicchiere fino al punto desiderato… ecco, questa è la parte difficile.

In effetti, guardare l’acqua che riempie un bicchiere è semplice, mentre è praticamente impossibile fare lo stesso con le fotografie. Come fare dunque per imparare? Le reflex o in generale le fotocamere di livello un po’ più alto di una semplice compatta, normalmente danno la possibilità di utilizzare delle modalità semi-automatiche che possono cominciare ad aiutarci a capire come calcolare rapidamente dei valori che siano più o meno corretti e che potremo correggere rapidamente dopo qualche scatto di prova. Queste modalità sono note normalmente come “modo A”, cioè con priorità di apertura, in cui il fotografo può scegliere il valore dell’apertura del diaframma (cioè “quanta acqua” entra a parità di tempo nel bicchiere) e la fotocamera calcola il tempo di esposizione, o “modo S” in cui avviene il contrario, cioè si sceglie per quanto tempo l’acqua (la luce) scorre e la fotocamera deciderà automaticamente quanta ne scenderà in quel periodo di tempo.

Una volta imparate a usare queste due modalità ci si renderà conto che ci saranno molte limitazioni, per esempio l’impossibilità (o la difficoltà) a decidere “quanto riempire il bicchiere”. La fotocamera infatti cercherà sempre di calcolare i parametri automatici per riempire il bicchiere nel modo che essa ritiene più correto. Il modo migliore per imparare a dominare questi due parametri è passare al “modo M”, cioè totalmente manuale. Questo permetterà di scegliere anche quanto il bicchiere dovrà essere riempito.

Le unità di misura per calcolare questi due parametri sono la “f” per il diaframma, i cui valori sono anche spesso chiamati come “stop”, e i secondi. Una foto scattata a 1/100s avrà quindi un tempo di esposizione pari a 1 centesimo di secondo. La “f” ha invece dei valori che hanno spesso poco senso per chi non vuole mettersi a calcolare formule strane. Di solito è possibile vedere valori come 1.4, 1.8, 2.8, 5.6 etc. Questi valori rappresentano il risultato di un’equazione che serve a dirci, in parole povere, che tanto più è piccolo il valore della f, tanta più luce entra nel sensore. Effettivamente spesso risulta insolito vedere un numero che rappresenta qualcosa di grande se è piccolo e viceversa. Dopo un po’ però ci si abitua. La cosa importante da sapere è che quei numeri non sono scelti a caso e che ci permettono comunque di calcolare velocemente la quantità di luce perché vale ancora il rapporto proporzionale per cui se passo da f/1.4 a f/2.8, avrò dimezzato la quantità di luce perché, come spiegato prima, 2.8 è il doppio più chiuso di 1.4 (1.4 x 2 = 2.8). Su suggerimento di Guido, specifico meglio che la progressione degli F-Stops (cioè dell’unità di misura dell’apertura) non è lineare rispetto all’etichetta numerica come potrebbe lasciare intendere l’esempio 1.4 x 2 = 2.8, perché per esempio 5.6 x 2 sarebbe in realtà f/8, ma rispetto a quello che si intende proprio per F-Stop. Ecco una pratica tabella riassuntiva:

Valore proporzionale 1 2 4 8 16 32 64 128 256 512 1024 2048 4096 8192 16384 32768
Valore f/ 1.4 2 2.8 4 5.6 8 11 16 22 32 45 64 90 128 180 256

Questa tabella rende più esplicità la proporzione di quello detto prima: se per esempio imposto l’apertura a f/8, starò facendo entrare, a parità di tempo di esposizione, il doppio della luce che entra a f/11 e la metà di f/5.6.

Il tempo di esposizione è normalmente una caratteristica del corpo macchina che è in grado di aprire e chiudere il diaframma (e quindi effettuare un’esposizione) con un certo tempo minimo e un certo tempo massimo, passando per una serie di intervalli precisi come orologi svizzeri. L’apertura è invece una caratteristica dell’obiettivo. Di solito, gli obiettivi meno costosi, hanno apertura massima vicina a f/3.5 e minimia vicina a f/16. Obiettivi professionali e in genere più costosi possono raggiungere aperture di f/2.8 (se zoom) e di f/1.4 (se a lunghezza focale fissa). Ovviamente esistono eccezioni come obiettivi a focale fissa che vanno a 1.2 (come il leggendario Canon 50mm) o zoom ultraavanzati come il Sigma 18-35 che al momento della stesura di questo articolo è l’unico zoom in commercio con apertura focale massima fissa a f/1.8.

Di solito su tutti gli obiettivi si può leggere il valore di maggiore interesse, cioè la massima apertura focale, sulla ghiera o sulla parte anteriore vicino alla lente frontale. Quando si legge un valore singolo (e.g. f/2.8) vuol dire che lungo tutte le possibili lunghezze focali, l’apertura non varia (e.g. 17-50 f/2.8 significa che sia a 17mm che a 50mm si potrà avere un’apertura pari a f/2.8). Quando invece il valore è composto, allora vuol dire che alla minima lunghezza focale si avrà il valore massimo dell’apertura, mentre alla massima lunghezza focale si avrà quello più basso (e.g. 18-55mm f/3.5-5.6 significa che l’apertura massima del diaframma sarà di 3.5 a 18mm e scenderà a 5.6 a 55mm di lunghezza focale).

Chiaramente, obiettivi dotati di grandi aperture focali possono essere (e normalmente lo sono) più grandi e pesanti per via dei complessi sistemi di lenti e la necessaria larghezza del “vetro” attraverso cui passerà la luce.

Chiaramente, questi due valori non servono solo a determinare l’esposizione della fotografia (che tra l’altro dipende anche da un altro fattore fondamentale che è il valore delle ISO di cui parlermo in un altro articolo), ma rappresentano i “pennelli” nelle mani del fotografo. Infatti, una volta stabilita la composizione, il fotografo dovrà decidere che livello di profondità e dinamicità dare alla propria fotografia. Apertura e tempo di esposizione permettono di stabilire tutto ciò.

A parità di esposizione, infatti, variare il tempo di esposizione permetterà al fotografo di dare staticità o movimento ai propri soggetti. Per esempio, se si volesse bloccare in un’immagine la corsa di un cavallo, si dovrebbe usare un tempo di esposizione più corto della velocità con cui l’animale galoppa. Se invece si volesse dare il senso di rapidità con cui il cavallo si muove, basterebbe usare un tempo più lungo, facendo così ché nella foto le zampe risultino volutamente “mosse”. Chiaramente è difficile ottenere il risultato che si immagina e l’unico modo per imparare è provare. Un modo molto facile per cominciare a imparare è studiare l’acqua. Provate a mettervi di fronte a un lavandino e fare scorrere un po’ d’acqua a filo. Mettete la vostra fotocamera su di un treppiede e provate a fare degli scatti in modo S a differenti velocità. Se avrete delle condizioni di luce ottimali, noterete che tanto più basso sarà il tempo di esposizione, tanto più facilmente identificherete la sequenza di gocce che scendono dal rubinetto. Se invece lascerete il tempo di esposizione più lungo, vedrete un’unico flusso (un po’ come a occhio nudo).

Di seguito degli esempi che cercano di mostrare la differenza tra foto effettuate variando questi due parametri, a parità di ISO e obiettivo. In questo caso, le foto sono scattate con la mia fidatissima Nikon D5000 con il 35mm f/1.8.

CSC_2419

CSC_2420

Per quanto riguarda l’apertura, invece, il discorso si fa più complesso e intrigante. L’apertura del diaframma determina infatti qual è la “profondità di campo” della vostra foto.

F1.8In altre parole il bokeh, cioè la sfocatura dello sfondo e degli oggetti in primissimo piano rispetto al soggetto. Per capire questo concetto, bisogna passare da quella che è nota come fotocamera “pinhole”. Immaginate di avere una fotocamera con davanti un obiettivo che sia largo quanto il più piccolo dei raggi di luce. Ora provate a immaginare il vostro soggetto e la vostra scena che fanno partire dei raggi di luce da ciascuno dei punti possibili, tracciando una linea che passa attraverso il “pinhole” e colpisce il sensore. Si riesce a intuire che ogni singolo raggio di luce sarà talmente preciso che ogni singolo punto della scena ripresa sarà perfettamente dettagliato. Se cominciassimo ad allargare il buco dell’obiettivo, noteremmo che il raggio, più piccolo del buco, potrebbe passare non da una singola linea retta, ma da più possibili linee rette. Ciò che accade nella realtà è proprio questo. Ciascun raggio di luce colpisce in maniera precisa il centro del “buco” come se fosse in un “pinhole”, tuttavia, essendo più piccolo e potendo spostarsi dalla linea retta principale, colpirà con meno energia anche dei punti vicini, risultando più blando e “sfocato”. Questo sarà tanto più accentuato tanto più lontana sarà la sorgente del raggio di luce rispetto al piano di messa a fuoco, cioè quel punto in cui invece tutti i raggi sono precisi e perfetti.

F9L’esempio precedente cerca di semplificare in maniera veramente basilare la matematica dietro all’effetto che si ottiene aprendo o chiudendo l’obiettivo. Per capirlo più semplicemente, basta dire che, tanto più aperto è l’obiettivo (e.g. f/2.8) tanto più sfocato sarà lo sfondo e tanto più staccato ed evidenziato risulterà il soggetto. Questo è molto importante, per esempio, per i ritratti, dove bisogna focalizzare l’attenzione dell’osservatore sul soggetto ritratto e non distrarlo con lo sfondo. Sempre traendo spunto dalla spiegazione precedente, lo sfondo risulterà tanto più sfocato (e quindi con maggiore bokeh), tanto maggiore sarà la distanza dello sfondo. Di conseguenza si può ottenere uno sfocato gradevole in due modi: aprendo il diaframma, oppure avvicinandosi al soggetto e facendo quindi aumentare il rapporto tra la distanza del soggetto dallo sfondo e la distanza tra la fotocamera e il soggetto.


3 commenti

Guido · 03/07/2014 alle 11:08

Una piccola precisazione:

«La cosa importante da sapere è che quei numeri non sono scelti a caso e che ci permettono comunque di calcolare velocemente la quantità di luce perché vale ancora il rapporto proporzionale per cui se passo da f/1.4 a f/2.8, avrò dimezzato la quantità di luce perché, come spiegato prima, 2.8 è il doppio più chiuso di 1.4 (1.4 x 2 = 2.8»

In realtà non è così. Se passo da f4 a f8 non ho dimezzato la quantità di luce che entra. Infatti sto chiudendo di due stop, quindi, la luce che entra a f8 è un quarto di quella che entra a f4.

Se si decude di usare un flash in manuale, è un dato importante visto che si ragiona, fondamentalmente a partire dal diaframma e della distanza flash-soggetto (ogni volta che raddoppi la distanza devi aprire di due stop, cioé quadruplicare la luce).

    C.A.Hung · 03/07/2014 alle 14:29

    Hai ragione, l’esempio non rendeva chiaro il concetto. Correggo subito 🙂

Guido · 03/07/2014 alle 16:24

Grazie a te per le guide. Sempre interessanti, carlé

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